Le esternalità: dalle accise al genocidio

di Birbo

C’era una volta l’economia politica neoclassica: un corpus filosofico-politico monolitico, che è in grado di spiegarti matematicamente che, data una distribuzione delle risorse iniziale, il rispetto dei contratti e la certezza dei diritti di proprietà, ogni risultato sociale ed economico è letteralmente il migliore dei mondi possibili. Ovviamente nessuno ci credeva davvero, e lo stato continuava a legiferare e regolamentare secondo i cazzi suoi: la morale, la volontà di potenza, l’interesse nazionale, la pace sociale. Un po’ dell’uno, un po’ dell’altro – a cazzo di cane – e l’omo campa. 

Ma nelle università continuavano a studiare la matematica, e si sono accorti che nel corpus c’era un buco. Infatti, quando c’è una cosa chiamata “esternalità”, il risultato “di mercato” non è più il migliore dei mondi possibili, ma può (anzi deve) essere migliorato grazie all’intervento statale. A quel punto i governi hanno smesso di far finta di ascoltare gli economisti, e hanno drizzato le orecchie. DIMMI DI PIU’! A proposito, questo è uno dei tanti motivi per cui vogliamo chiudere le università.

L’esternalità è l’effetto secondario di una attività economica, il quale costo ricade su chi è estraneo alla transazione. Banalmente l’allevamento di maiali che puzza e, quando tira scirocco, disturba il bed and breakfast 400 metri più a nord sulla strada provinciale. In un mondo sano a nessuno fregherebbe un cazzo di studiare questa roba: l’allevatore e l’oste si farebbero i dispetti per anni, fino a finire a Forum davanti al giudice Santi Licheri. Giudice che proporrebbe all’allevatore di donare all’oste venti kg di salsicce ogni volta che tira vento da Sud. Puzza di merda? Facciamoci una bella grigliata. Letteralmente la mia ideologia. 

Purtroppo a un certo punto, e invito i lettori ad aiutarmi a ricostruire i fatti, l’esternalità è diventata il peccato originale della nostra società, in seno alla nuova religione progressista. Deve esser stato in concomitanza con l’aumentare del benessere, il declinare del Cristianesimo e il conseguente non avere più un cazzo di meglio a cui pensare. Nessuno è potuto sfuggire al martellamento dei coglioni costante delle beghine dell’esternalità. Non finisci pasta e lenticchie? Un bimbo africano muore di fame. Non dicevano proprio così, ma il collegamento era evidente, e soprattutto si abituava a pensare che ogni azione governata dal capriccio individuale avesse conseguenze catastrofiche sul prossimo. 

Fatto sta che, di pari passo con questa nuova religione del peccato di esternalità, l’azione governativa andasse di pari passo nel regolamentare l’attività umana, ovviamente per scopi totalmente benefici. Ed ecco quindi che le accise su alcool, tabacco e benzina da banali e volgarissimi dispositivi fiscali per fare cassa sfruttando domanda inelastica, diventano nobili dispositivi pedagogici e di riduzione delle esternalità. Dice: passi l’inquinamento, ma che cazzo di esternalità provoco se mi fumo la marlboro dopo il caffè? Fumi, ti ammali di cancro, muori. E costi soldi al SSN. Quanti? Boh. Tu intanto paga, peccatore. L’imposta sull’esternalità trova la sua ragione economica ragionieristica: si tassa il consumo di un bene nocivo, e il gettito lo si usa per pagare i danni. Imposta “pigoviana”, la chiamano sui libri. Ma l’illusione di libertà è salva: Humphrey Bogart con la sigaretta in bocca può sbiascicare la Marsigliese in Casablanca, in culo ai nazisti!

Ecco però che l’esternalità passa da fenomeno tangibile, diretto come la puzza di cacca, a indiretto, fumoso, sostanzialmente non quantificabile se non da esperti non precisati che fanno calcoli basati su assunzioni arbitrarie. Ad essere depositaria del peccato di esternalità è ovviamente la Scienza, quella istituzione non contestabile in alcun modo per definizione. Ma la sete di redenzione delle beghine non può essere placata da una tassa. I beni nocivi continuano ad essere consumati, la foresta amazzonica continua ad arretrare, divorata letteralmente dalle coltivazioni di soia. I mari continuano, boh, ad aumentare di livello nei modelli dei climatologi pagati da grants per lo studio dell’innalzamento dei mari. I neonati continuano a consumare pannolini. Non basta tassare, non può bastare. I rompicoglioni dei “liberali” si oppongono alla sugar tax, figuriamoci a una accisa di cinque euro al litro sulla benzina. E inizia quindi il bombardamento a tappeto mediatico per colpevolizzare il consumo. Tutto il consumo. Tutta la vita. Homo Sapiens contemporaneo è una macchina che produce CO2, quindi gradi, quindi uragani ed eventi climatici estremi. Si chiama “egoista” chi mette al mondo figli, si colpevolizza chi segue una dieta onnivora bilanciata tradizionale, si deplora chi si muove con mezzi propri. 

Siamo passati in 30 da un mondo dove si fumava nelle sale da biliardo a un altro dove ti dicono che “se non ti vaccini sei un pericolo per te e per gli altri”. E domani ti diranno serissimi “la tua libertà di andare a mangiare gli spaghetti con le telline al secondo Cancello in una assolata domenica di marzo finisce dove inizia la mia di non morire per colpa di un uragano” (cit. RM). 

Non so come andrà a finire per noi miscredenti delle esternalità comandate dalla Scienza: non sappiamo se prevarrà la volontà di mantenere l’illusione di libertà, e quindi accettare di vivere da dhimmi pagando un obolo, oppure saremo discriminati col greenpass, isolati e infine sterminati nel corso di qualche pogrom perché è piovuto troppo, o troppo poco. 

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